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I Vanilla Fudge sono un gruppo psychedelic hard rock fondato dal 1966 a New York da: Tim Bogert (basso), Carmine Appice (batteria), Mark Stein (tastiere) e Vince Martell (chitarra).

Grandi ammiratori dei Beatles, eseguirono in modo del tutto personale cover di Ticket To Ride ed Eleanor Rigby ma il grande successo arrivò con una versione dura e psichedelica di You Keep Me Hangin' On.

Un'altra cover che li ha consegnati alla storia della musica moderna è quella di Some velvet morning, (composta da Lee Hazlewood), con la quale vinsero la Gondola d'oro a Venezia nel 1969.  I Vanilla Fudge ne danno un interpretazione personalissima, decisamente psichedelica e portata alla ricerca di sonorità estremamente stridenti con l'originale e che ne fanno un sorta di manifesto della psichedelia.

Verso la metà degli anni ‘60, il pop/rock si evolse, molti gruppi intrapresero diverse strade per nobilitare l’arte della popular music, per cercare contaminazioni che potessero elevarla al rango della musica classica, del jazz. Per questo motivo alcune bands cercarono di scrollarsi di dosso l’etichetta del beat, del rock'n'roll, del rhythm'n'blues, e provarono a proporre un particolare genere musicale che mescolava il pop/rock con la musica classica, usandone gli strumenti o le strutture simbolo: quindi abbondanza di archi, pezzi 'aperti' (che rompevano il classico schema strofa/ritornello, eccetera). Tra i maggiori esponenti del cosiddetto rock sinfonico vanno citati i Procol Harum, i Moody Blues e i Vanilla Fudge, appunto. Tuttavia, questi ultimi si collocano in una sorta di 'terra di nessuno' e hanno poco da spartire con gli altri due: da certa stampa definiti psichedelici e da altri, forse più correttamente, associati alla corrente pomp-rock, anche se in versione 'acida'.

L’esordio Vanilla Fudge (1967) è una raccolta di cover che evidenzia da subito la passione per i Beatles e per un Rock pomposo, sinfonico, maestoso, autocompiaciuto della propria potenza.

The Beat Goes On (1968) aumenta lo spettro già ampio delle rivisitazioni-cover (Mozart, Beethoven, Cole Porter ecc.), ripropone i Beatles e affina il sound pomposo e magniloquente.

Con Renaissance (1968) la formazione inizia a proporre dosi massiccie di materiale originale. Si tratta di un muscolare, pirotecnico Blues/Rock delle volte verboso ma anche possente (The Sky Cried / When I Was A Boy, That’s What Makes A Man), a tratti fin troppo classicheggiante (Thoughts, Paradise).

Near The Beginning (1969) propone altre quattro esplosive rivisitazioni possenti e corali e la lunghissima Break Song (23 minuti e mezzo), un autocompiaciuto sfoggio di assoli e di momenti ad effetto.

Rock & Roll (1969) contiene un brano possente come Need Love, probabilmente il loro capolavoro: canto esaltato, chitarra incendiaria, tastiera Blues impazzita, fracassi assortiti.

La band si scioglie ma il ritorno nel 1984 con Mistery conferma che le idee sono poche e mal gestite. Nell’era della Disco-Music la formazione si prodiga in un noioso lotto di ballabili Rock (la più salvabile è Golden Age Dreams).

Appice e Bogert sono col tempo diventati due nomi da culto degli anni settanta, una delle migliori sezioni ritmiche, dedicandosi ad accompagnare prestigiosi session man vedi Jeff Beck (Beck, Bogert e Appice).

Con The Return (2002) i riformati Vanilla Fudge pubblicano un nuovo album in studio a ben 20 anni di distanza dal precedente tentativo di reunion dell'84.

La nuova formazione è composta da Carmine Appice (batteria), Tim Bogert (basso), Vince Martell (chitarra) e Bill Pascali (tastiere).

Renaissance (1968) è il terzo album dei Vanilla Fudge, una via di mezzo fra l'album di debutto e quello successivo. Aumenta il rock nudo e crudo e cominciano a far comparsa alcuni brani originali scritti dai quattro membri del gruppo, con conseguente diminuzione delle cover. Il lavoro esce sempre per la ATCO e si segnala da subito per l’evocativa, depressa e sognante copertina che si abbina ottimamente con lo spirito sonoro proposto nel disco. Il disco inizia da subito con una composizione originale, sognanti e lisergiche, con una chitarra acida e penetrante e le solite tastiere superlative. Il brano prosegue con sonorità estremamente accattivanti sino alla sua chiusura e da subito si percepisce che il disco sarà migliore del precedente. I momenti dilatati e estatici proseguono anche con la canzone successiva, Thoughts, anch’essa grondante di hammond e una convincente melodia.The sky cried/when i was a boy, che da subito si incanala verso atmosfere Paradise accentua ancora di più le immagini trasognate del gruppo con una magica introduzione di tastiere e atmosfere quasi eteree, spirituali, senza tempo, impreziosite anche da rintocchi di campane. That's what makes a man chiude magnificamente la prima facciata con convincenti melodie intrise sfacciatamente di psichedelia, ma anche di gradevolissimo rock. Finalmente girando il disco si giunge alla prima cover – due in tutto il disco – una rivisitazione di The spell that comes after di Essra Mohawk. Subito dopo troviamo quello che per scrive è uno dei vertici, se non il punto più alto, dell’intero disco: Faceless people, eccezionale miscuglio di psichedelia, rock e visioni lisergiche scandite da un hammond spettrale, arpeggi di chitarra arabeggianti che creano un mix emotivo di depressione e suggestione. Di lì a poco una furia cieca, brutale, selvaggia di intricate distorsioni chitarristiche e organistiche. E intanto è andato via quasi metà pezzo, che presegue nei minuti restanti con acide divagazioni di chitarra e suoni molto convincenti. Subito dopo abbiamo un altro apice del disco, la seconda (e ultima) cover, una dilatatissima Season of the witch di Donovan, resa quasi mistica, spirituale, con atmosfera sognanti che chiudono in modo quasi malinconico l’album. Nell’ottima ristampa Sundazed sono presenti anche lati b e brani non presenti su disco, come l’ottima stralunata rivisitazione di The look of love di Burt Bacharach e l’originale Where is my mind. Un disco gradevole quindi, un naturale prosieguo ed evoluzione di quello che era l’album di debutto, che alterna momenti di rock pesante ad altri molto più fantasiosi ed evocativi. Nonostante l’elevata originalità di alcune canzoni e l’elevato standard qualitativo ancora una volta i Vanilla non finiscono ai vertici delle classifiche, come per altro mai lo furono nella loro breve carriera, ma questo disco dona un po’ di serenità alla band che da lì a poco comincerà a lavorare per "Near the beginning".

 

Tracce:

1. The Sky Cried - When I Was A Boy     
2. Thoughts     
3. Paradise     
4. That's What Makes A Man     
5. The Spell That Comes After     
6. Faceless People     
7. Season Of The Witch

 

Formazione:

Carmine Appice - batteria, voce

Tim Bogert - basso, voce

Vince Martell - chitarra, voce

Mark Stein - voce principale, tastiere

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